I mormoni credono che Dio vuole che tutti noi diventiamo ciò Egli progettò che diventassimo e che usiamo i nostri doni e i nostri talenti, che Egli ci ha dato, per promuovere il Suo piano per il mondo e per noi, personalmente. Naturalmente, a volte può capitare di fallire, questo perché la vita è una esperienza di apprendimento, ma quando succede è importante non mollare. Possiamo rivolgerci a Dio, per avere conforto e incoraggiamento, possiamo tirarci su e riprovare. Di seguito, sono riportati alcuni dei pensieri del presidente Monson, riguardo ai disagi della vita.

Nessun fallimento deve essere definitivo.

Nel nostro viaggio sulla terra, scopriamo che la vita è fatta di sfide, che differiscono solo da una persona all’altra. Siamo orientati al successo, volendo diventare delle “Wonder woman” e dei “Superman”. Qualsiasi accenno di errore può causare il panico e portare fin anche alla disperazione. Chi di noi non ricorda momenti in cui c’è stato un fallimento?

Uno di questi momenti, l’ho avuto anche io, quando ero un giocatore di basket giovanile. La partita era vicina alla fine, quando l’allenatore mi ha chiamato dalla panchina per farmi eseguire un determinato schema di gioco. Per qualche motivo, che non potrò mai capire, ho sbagliato il passo e ho dribblato la palla diritto attraverso la squadra avversaria. Sono saltato in alto, verso il canestro, e, non appena la palla ha lasciato la mia mano, ho realizzato bruscamente che stavo tirando verso il cestino sbagliato. Ho offerto la più breve preghiera che io abbia mai detto: “Caro Padre, non lasciare che la palla vada dentro”. La mia preghiera venne esaudita, ma il mio calvario era appena cominciato. Sentii un forte applauso arrivare dai fans adoranti: “Vogliamo Monson, vogliamo Monson, vogliamo Monson… FUORI!”. L’allenatore era obbligato a farlo.

Non molto tempo fa, ho letto di un incidente accaduto nella vita del presidente americano Harry S. Truman, dopo che egli era andato in pensione ed era tornato a Independence, Missouri. Era alla Truman Library, mentre parlava con alcuni studenti delle scuole elementari e rispondeva alle loro domande. Infine, un bambino piccolo, fece una domanda solenne: “Signor Presidente” disse “era popolare quando era un ragazzo?”. Il presidente guardò il ragazzo e rispose:” Perché, no. Non sono mai stato popolare. I ragazzi popolari erano quelli che erano bravi ai giochi ed erano grandi, con i pugni stretti. Non sono mai stato così. Senza i miei occhiali ero cieco come un pipistrello e, a dire la verità, ero una specie di femminuccia”. Il bambino iniziò ad applaudire e, di seguito, lo fecero anche tutti gli altri. (Discorsi vitali, febbraio 1983, p.6)

La nostra responsabilità è quella di elevarci dalla mediocrità delle nostre competenze, dalla mancata realizzazione. Il nostro compito è quello di diventare il meglio di noi stessi. Uno dei più grandi doni di Dio, per noi, è la gioia di poter provare di nuovo, perchè nessun fallimento deve necessariamente essere definitivo.

Nel 1902, l’editore dell’Atlantic Monthly, restituì un fascio di poesie, ad un poeta di 28 anni, con questa nota: “La nostra rivista non ha spazio per i Suoi versi vigorosi”. Il poeta era Robert Frost. Nel 1894, l’insegnante di retorica a Harrow, in Inghilterra, scrisse, su una pagella di un 16enne “mancanza evidente di successo”.  Il sedicenne era Winston Churchill.

Il Presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, disse: “Non è il critico che conta, non l’uomo che fa notare come possa inciampare un uomo forte o dove colui che agisce, avrebbe potuto fare meglio. Il merito appartiene all’uomo che, in realtà, è nell’Arena” (Il Tesoro americano: 1455-1955, a cura di Fadiman Clifton, New York: Harper & Brothers, 1955, p. 689).

Thomas S. Monson, “Non mollate mai”, New Era, settembre 1994, 4.

Finitori cercasi

Un Mercoledì, mi sono fermato davanti alla vetrina elegante, di un negozio di mobili di prestigio. Ciò che ha catturato la mia attenzione non era il divano dal design splendido, né la sedia che appariva molto comoda, che si trovava al suo fianco. Né il lampadario bellissimo, posizionato in alto. Piuttosto, i miei occhi si posarono su un piccolo biglietto, che era stato collocato nell’angolo, in basso, a destra, della vetrina. Il suo messaggio era breve: “FINITORI CERCASI”.

Il negozio aveva bisogno di quelle persone che possedevano il talento e l’abilità di rendere pronti, per la vendita finale, i mobili costosi che l’impresa fabbricava e vendeva. “Finitori cercasi”. Le parole sono rimasti dentro di me, anche mentre mi dedicavo alla pressante attività della giornata.

Nella vita, come negli affari, c’è sempre bisogno di quelle persone che potrebbero essere chiamate finitori. Le loro fila sono poche, le loro opportunità molte, il loro contributo grande.

Dall’inizio ai giorni nostri, c’è una questione fondamentale, a cui ognuno di noi, che gestisce la gara della propria vita, deve rispondere. Inciamperò o finirò? A seconda della risposta, ci attendono le benedizioni della gioia e della felicità, nella vita terrena e nella vita eterna, nel mondo a venire.

Noi non siamo lasciati senza una guida, nel prendere questa importante decisione. La Sacra Bibbia contiene alcuni racconti, quelle lezioni che, se accuratamente apprese, ci serviranno bene e saranno come un faro, nel guidare i nostri pensieri e influenzare le nostre azioni. Quando leggiamo, simpatizziamo con quelli che inciampano. Onoriamo quelli che finiscono.

L’apostolo Paolo ha paragonato la vita ad una grande gara, quando dichiarò: «Non sapete che coloro che corrono in una gara, corrono tutti, ma solo uno riceve il premio? Correte, affinché lo possiate ottenere” (1Cor. 9:24). E prima che le parole di Paolo arrivassero alle orecchie degli ascoltatori, i consigli del figlio di Davide, re di Gerusalemme, avevano avvisato: ” Ho visto anche sotto il sole che non è degli agili la corsa, né dei forti la guerra”(Eccl. 9:11).

(Thomas S. Monson, ‘Rifinitori cercasi’, La Stella, giugno 1989, 2).